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martedì 25 gennaio 2011

La maternità migliora il cervello delle donne

Qualche giorno fa una mia cara amica, nonché giovane mamma 35enne, mi raccontava che poco prima aveva stirato tenendo la sua ultimogenita (di neanche 2 mesi) "appollaiata" dietro alla schiena grazie alla fascia/marsupio e con la sua primogenita (di neanche 2 anni) che giocava a poca distanza da lei con la sua tastiera di suoni e versi degli animali della fattoria. Suoni e versi che lei le insegnava a ripetere.

Una super mamma? No una mamma come molte secondo quanto riportato dalla scrittrice e giornalista Katherine Ellison nel suo libro di prossima uscita (il 26 gennaio per Rizzoli) "Il cervello della mamme", di cui Repubblica (il 19 gennaio) ha riportato le tesi principali.

Secondo la Ellison - che si rifà ad alcune ricerche condotte dall'Università di Yale - il diventare mamma migliora il cervello delle donne ovvero ne sviluppa particolari caratteristiche fino ad allora sopite. Il cervello infatti si espande: gesti e azioni - condotte in un colpo solo - si raddoppiano (vedi l'esempio iniziale) e nello stesso tempo si affina la capacità di selezionare le priorità.

Inoltre l'ormone dell'ossitocina - caratteristico di tutto il periodo del parto e del puerperio - stimola e amplia le capacità sociali e produttive. Un ampliamento che rimane nell'intelligenza femminile e si trasforma in intelligenza emozionale, plasticità, capacità di relazione.
Del resto quando i nostri bimbi non sono ancora in grado di raccontaci con la loro voce cosa sentono, non siamo forse noi che interpretiamo il loro pianto, i gesti delle braccia e delle gambe, della bocca e della lingua?
Dunque un nuovo approccio al "pensiero materno" che ribalta molti luoghi comuni sulle donne/mamme e che sarebbe da consigliare a molti datori di lavoro italiani...

Consiglio di lettura: sullo stesso argomento, "Pensare per due" di Massimo Ammaniti per Laterza.

giovedì 2 settembre 2010

L'acido lattico aiuta a capire se si va incontro a un parto vaginale o a un parto cesareo



L’utero è un muscolo e come tutti i muscoli produce acido lattico. Sì, avete capito bene. Proprio quell’acido lattico responsabile di dolori che ci impediscono di alzarci dal letto se il giorno prima siamo state colpite dalla sindrome del “corro in palestra perché non ho più scuse”.

I ricercatori della compagnia privata svedese Obstecare hanno pensato di misurare i livelli di acido lattico nell’utero per riuscire a predire con una certa sicurezza se la partoriente potrà sostenere un parto spontaneo o se invece avrà grandi probabilità di andare incontro a un parto cesareo.
La notizia è stata data dalla BBC: il muscolo (e quindi anche l’utero) produce acido lattico quando è messo sotto sforzo e se i livelli di acido lattico sono troppo alti di fatto inibiscono le contrazioni e rendono praticamente impossibile un parto vaginale, anche in caso di somministrazione di ossitocina.

I ricercatori svedesi hanno scoperto che se i livelli di acido lattico prodotto dall’utero sono bassi è probabile che la donna sia in grado di sostenere le contrazioni e un parto vaginale, mentre se i livelli sono alti vuol dire che l’utero è estremamente affaticato e che con molta probabilità si finirà con un parto cesareo. L’utilizzo capillare di questo test permetterebbe, secondo i ricercatori dell’Università di Liverpool, una riduzione del 25% del numero di parti cesarei.

Sembra pioneristico ma in realtà questo tipo di esame è già usato in Norvegia, Svezia e Belgio, con buoni risultati, sembra.

martedì 20 ottobre 2009

Il parto è una questione tra donne


Un tempo partorire era una questione tra donne.

Il padre camminava su e giù per la sala di attesa, fumando una sigaretta dopo l’altra e partecipando solo in maniera emotiva. Da lontano.
In sala parto avveniva tutto. Con il supporto di ostetriche e infermiere, la donna se la cavava da sola.
Perché in fondo a partorire ci deve pensare lei.

La mia personale esperienza è diversa. Ho fatto un cesareo e mio marito ha voluto assistere a tutti i costi. Siamo stati fortunati perché la struttura ce lo ha permesso. Io gli ho detto “scegli tu” e lui ha scelto di esserci. Nonostante tutti - medici, suocera, io stessa - gli avessero detto che non sarebbe stato un bello spettacolo, che non avrebbe dovuto cedere alla tentazione di guardare oltre il lenzuolo verde e che se si fosse sentito male sarebbe dovuto uscire dalla sala operatoria con le sue gambe perchè nessuno lo avrebbe soccorso.
E’ stato un eroe secondo me. Io non avrei resistito.
Ho avuto, io, la partoriente, una specie di attacco di panico subito dopo l’epidurale. Invece lui, stoico, mi ha fatto mille carezze, mi ha rassicurato, ha provato con tutto se stesso ad essere solidale e sereno nonostante la mia agitazione.
A posteriori l’ho invidiato. Perché quando mio figlio è nato, ho fatto giusto in tempo a sentire il suo ngueee e a baciarlo un attimo prima che mi addormentassero. Invece lui era tranquillissimo. Ha seguito il piccolo fino al nido, ha assistito a tutte le operazioni di pulizia e visita pediatrica e alla fine era fresco come una rosa.
D’altro canto ho sempre detto chiaramente che se avessi partorito naturalmente non lo avrei voluto con me. Troppo l’imbarazzo, troppo il pensiero che avrei rivolto a lui invece che a me stessa, troppa paura che non sarei stata all’altezza. Non avrei voluto dovermi preoccupare anche per lui.
Insomma, dicevo a lui e tutti che, appunto, partorire è una roba di donne.

Faccio questa lunga e personale premessa per introdurre le dichiarazioni di un noto ginecologo francese, Michael Odent, che nei giorni scorsi ha spiegato che non solo è meglio se il padre si tiene fuori dalla sala parto, ma la sua presenza potrebbe addirittura diventare un boomerang e mettere a rischio la salute di mamma e neonato.
Sono 50 anni che accompagno le donne al momento di dare alla luce i loro bambini in Francia, Inghilterra e Africa e posso dire con certezza che se è presente solo un'ostetrica il parto diventa più facile e veloce": queste le parole del medico che su Daily Mail non ha usato mezze misure.
La presenza del padre allunga il parto, lo rende ancora più difficile perché lo stress rallenta la produzione di ossitocina, ha effetti sul benessere della mamma e aumenta il rischio di dover ricorrere al taglio cesareo.
Odent dice anche altro. Aver mascolinizzato l’evento nascita ha aumentato il numero di cesarei e anche il numero di divorzi perché in qualche modo ha agito sulla sfera intima e sessuale della coppia.

Image: 'birth.jpg'

lunedì 19 gennaio 2009

Un cane come un figlio? Pare proprio di sì


L’ho constatato in prima persona: una coppia di miei amici sta insieme da ben otto anni e sembravano dei ragazzini. Una vita sregolata senza orari, ogni sera fuori, nessun impegno e nessun progetto serio. Ecco, hanno adottato un piccolo randagio e tutto è cambiato. Il cane ha fatto la famiglia. Attorno a questo piccolo cucciolo è nata una vera e propria rete di impegni, orari, organizzazione, vacanze a misura di cane, di “torno a casa che mi aspetta” e “cucino che mangia anche lui”.
Per questo non mi stupisco dei risultati di una bizzarra ricerca pubblicata sulla rivista Hormones and Behavior che ha dimostrato come amare un cane provochi più o meno le stesse emozioni che si provano prendendosi cura di un figlio.
Esagerato? Per noi mamme forse sì, ma secondo quanto hanno scoperto questi studiosi nipponici tutto sta nella produzione dell’ormone delle coccole, l’ossitocina. Proprio quell’ormone che noi produciamo in gran quantità quando allattiamo o quando partoriamo o quando abbracciamo il nostro piccolo. Sembra che nel sangue dei padroni dei cani i livelli di ossitocina aumentino del 20% subito dopo aver giocato con il fedele amico o dopo averlo abbracciato e coccolato.
Praticamente più o meno ciò che accade nel nostro organismo quando il piccolo sorride o fa i versetti o gli mordicchiamo le cosce cicciotte.